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Ares
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DAL SITO DI VENETOGOL


IL CALCIO CONEGLIANO FESTEGGIA I CENTO ANNI DI STORIA CON LA PUBBLICAZIONE DI UN LIBRO.

Anche il Calcio Conegliano entra nell’Olimpo dei club centenari. Il sodalizio giallo-blù, per ricordare questo ambitissimo traguardo sportivo, ha voluto pubblicare un volume ( 400 pagine ) corredato di risultati, aneddoti e fotografie di questo longevo percorso calcistico, e presentarlo lunedì 30 marzo alle ore 17,30 all’ Auditorium Toniolo di Conegliano (vicino all’Ospedale cittadino) a tutti i tesserati, ai rappresentanti politici, ai sostenitori e a tutta la cittadinanza che vorrà partecipare all’evento. Ricordiamo che in questo volume che riesuma parecchi cenni storici degli inizi del Calcio Conegliano, fanno seguito i resoconti dei momenti di maggiore splendore del sodalizio giallo-blù, con la partecipazione al campionato di C/2 negli anni ’80. Alla serata non mancheranno i giocatori i tecnici e i dirigenti che in questi 100 anno hanno lasciato un segno indelebile sulla crescita del calcio a Conegliano, ricordi esaltanti, costruiti nelle varie annate sportive da giocatori che poi si sono affermati a livello nazionale e internazionale. Nel gruppo non ci sarà il compianto Narciso Soldan, il portierone di Milan e Inter, che a Conegliano, da (mister) allenatore-istruttore, ha lasciato un’impronta a livello umano e tecnico, al quale l’amministrazione cittadina ha intitolato lo Stadio di via Maset. Molti ex hanno annunciato la loro presenza. Nell’andare a ritroso ricordiamo i fratelli Valmassoi, il portiere De Martin, per poi salire negli anni con il funambolo toscano Marchini, Arreghini, Giorgio Mognon, il portiere De Giuliani, Di Giusto arrivato dal Messsina, Cosmo, Camillotto, Angelino De Luca, Stradiotto, Cavazzin, Gigi Gaiotti, Livotto e Marcon. Per arrivare ai più recenti: i portieri Paleari e Borin, Carlo Osti, Dal Fiume, Pasin, Villanova, l’avv. Mozzarella, Papais, Manuel Gerolin, Loris Pradella, Stefano Strappa, Massimo Orlando, Milo Da Re, Bepi Fongaro e tanti altri ai quali si uniranno tre mister di notevole spessore come Enzo Ferrari, Fongaro e Albertino Bigon, oltre al preparatore atletico Cleante Zat.

Flavio Cipriani


Libro veramente bello, con centinaia di fotografie, alcune delle quali ricordano indimenticabili sfide contro Padova, Mestrina, Triestina, Treviso, Venezia, Monselice, ecc...
Presenti le classifiche dei campionati cui ha preso parte il sodalizio galloblu dal 1907 in poi, tutti i risultati e i tabellini a partire dal 1930.
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ars72
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Re: LIBRI

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CALCIO, E' USCITO L'ALMANACCO " UMBRIA GOAL 2010 "

Contiene dati e profili sull'intero movimento del calcio dilettantistico umbro

E' nelle edicole e librerie “Umbria Goal 2010”, il libro dei numeri del calcio dilettantistico umbro. E’' molto più di un almanacco: in 608 pagine si passano in rassegna 421 squadre del calcio dilettantistico e giovanile umbro, oltre 6.000 partite, oltre 8.000 atleti. La pubblicazione fa rivivere la stagione 2009/2010 con i suoi protagonisti della Serie D, Eccellenza, Prima, Seconda e Terza Categoria, calcio a 5, calcio femminile, campionati giovanili. L'’iniziativa è di Umbria Goal Promotion e dell’'Agenzia di stampa Infopress, con il patrocinio del Comitato Regionale Umbria della Lega Nazionale Dilettanti e della sezione umbra dell’'Associazione Italiana Allenatori. Il volume è giunto alla quarta edizione con le novità degli spazi riservati alla Serie D e al calcio a 5. La copertina del volume double-face è dedicata da un lato al fantasista Matteo Pero Nullo, vincitore del Pallone d’'Oro del calcio umbro 2010, e dall’'altra al giovane di talento Alessandro Albi. “Umbria Goal 2010” viene diffuso al prezzo di 15,00 euro.
La pubblicazione, che quest’'anno esce nel periodo estivo per proporsi all’'attenzione degli appassionati e degli addetti ai lavori anche come strumento di consultazione durante la fase preparatoria della nuova stagione, è giunta alla quarta edizione con le novità dei capitoli dedicati alla Serie D e al calcio a 5, si presenta compatto in versione double face: da una parte i campionati dilettantistici con in copertina la foto di Matteo Pero Nullo vincitore del Pallone d’'Oro del calcio umbro e dall’'altra l'’intera attività dei settori giovanili con l'’immagine di Alessandro Albi.


X maggiori info:

http://www.umbriagoal.it/
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ars72
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Re: LIBRI

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Cent'anni di Orvietana
Una passione lunga un secolo

di Gabriele Martelloni (scritto su commissione per l'Orvietana calcio)


Gli anniversari sono sempre un’occasione per orientare all’indietro lo sguardo, sbirciare l’ampia stanza del passato dal buco di serratura del proprio tempo, confrontarsi con il trascorso per affrontare al meglio il futuro prossimo. Il centenario, poi, è un evento davvero speciale, perché racconta di un passato non troppo remoto, che con un po’ di sforzo riesci quasi ad abbracciarlo, e si allunga fino al presente ricordandoci che anche noi, ognuno a modo proprio, facciamo parte di quella storia perché nel bene e nel male abbiamo contribuito a scriverne un pezzetto.
Orvieto e la sua squadra sono protagonisti di un amore lungo un secolo, un rapporto a suo modo esclusivo, vissuto con gli alti e bassi di una qualunque relazione sentimentale. Cento anni di storia, ma soprattutto di storie: quelle dei calciatori e dei loro parenti, di mogli, fidanzate o spasimanti, storie di avversari e simpatizzanti, di osservatori e direttori sportivi, sponsor e addetti stampa, di massaggiatori, custodi, allenatori, e presidenti. Da Luigi Muzi al supertifoso “Magnasigaretta”, da Mario Frustalupi al tuttofare “Catirre”, queste pagine raccontano episodi, frammenti di vita, emozioni e ricordi di una storia ormai centenaria. Vicende che s’intrecciano intorno a un campo di calcio, che dal cerchio di centrocampo rotolano sull’erba schizzando in ogni direzione, dentro e fuori il terreno di gioco, come palloni impazziti. Palloni che si arrampicano fino alla cima della Rupe, dove la città si specchia nell’erbetta dello stadio come di fronte a una lastra riflettente, per poi discenderne in ordine sparso e dirigersi altrove, verso nuove destinazioni, altre esperienze.
Pier Paolo Pasolini definiva il calcio «l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo». E sacro, a suo modo, lo è davvero, con lo stadio che per novanta minuti si trasforma in un tempio completamente isolato dall’esterno; gli allenatori che dal loro pulpito predicano il culto tattico ai giocatori, catechizzandoli; i tifosi che dagli spalti intonano i canti della loro personale liturgia domenicale; l’arbitro che, indossati i paramenti sacrali, officia la santa messa della partita in corso e assolve o punisce secondo l’umore.
In provincia, lontano anni luce dalla sua degenerazione industriale, dagli spot milionari e dagli ingaggi da nababbi per calciatori sfacciatamente ricchi, il calcio è ancora un rito collettivo che anima la passione popolare. La radice è ludica, ma i suoi germogli sono di natura squisitamente sociale. Un rito collettivo, un collante, una sorta di potente mastice che da solo tiene insieme un pezzetto di comunità, accomunando le persone nel sacrificio, nella spensieratezza, nei momenti di esaltazione come in quelli di sconforto.
Se dici Italia, poi, come puoi non pensare al calcio, o meglio al “pallone”? Lo aveva capito anche Winston Churchill, che disse: «Gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio». Nel giugno 1910, mentre lo statista inglese diventa segretario di Stato per gli affari interni, l’Italia è in piena età giolittiana. Luigi Luzzatti, succeduto a Sidney Sonnino, è il nuovo presidente del Consiglio. A Milano nasce l’Alfa Romeo, Carlo Galetti vince il secondo giro d’Italia, e all’ombra della Rupe, seppure in maniera non organizzata, comincia l’attività dell’Unione Sportiva Orvietana.
In verità, nella storia della Società, se si escludono gli ultimi trentacinque anni, il calcio ha sempre avuto un ruolo fondamentale, sì, ma non esclusivo. Gli sportivi della Rupe si sono misurati nelle discipline dell’atletica leggera, nella pallacanestro, nel ciclismo. Spesso ottenendo ottimi risultati.
Questo libro, compendio parziale di una storia diventata secolare, dà voce a chi questa storia l’ha costruita, un pezzetto alla volta, un anno dopo l’altro. Ognuno ha una sua versione da rivendicare, un aneddoto da raccontare, una gioia da testimoniare, un personaggio da tracciare e un rimpianto da esporre e condividere. Soprattutto dagli anni Quaranta, per ragioni anagrafiche, le voci dei protagonisti s’infittiscono e si appropriano, in un certo senso, della trama di questa narrazione. L’oggettività, in questo senso, non conta nemmeno troppo. Il ricordo è, per natura, soggettivo, legato all’emozione del momento e al lavoro “ripulente” della memoria, ma non per questo è meno vero, anzi.
La speranza è che queste pagine rimangano nel tempo, che possano emozionare chi scorrendole ritrovi frammenti di se stesso, come chi scopra per la prima volta questo pezzo della storia di Orvieto; che stimolino l’immaginario di chi si avvicina, nella giovinezza, all’attività sportiva, perché comprenda che questa, prima di tutto, è un’esperienza di vita. L’augurio è che le storie delle persone che hanno permesso all’Orvietana di festeggiare cent’anni di attività diventino esempio, positivo da seguire o negativo da rifuggire che sia, per tutti i giovani della Rupe che si accostino al calcio e allo sport in generale, affinché rendano questa storia, se non immortale, perlomeno longeva il più possibile.
E allora, salutandoti con un inchino e un baciamano, come si fa con le signore un po’ attempate ma sempre affascinanti, ti auguro un buon compleanno, Orvietana. E cento di questi giorni.

Ecco alcuni brani del libro:
Storia di Giuseppe Carnevali

Un bambino poggia i piedi su un prato vasto come il cielo e per un attimo crede di trovarsi in paradiso. Il suo angelo custode è un poeta dalla penna illuminata e dall’aria incanutita. Si tengono per mano come in una canzone di Guccini. Non vanno incontro alla sera, ma al sogno del giovinetto. Il poeta è originario di Alessandria d’Egitto e ha sessant’anni, il bambino, nato a Orvieto, è appena dodicenne. Sembrano così diversi, eppure una cosa in comune l’hanno, oltre a chiamarsi entrambi Giuseppe: credono nei sogni e nella possibilità di vederli realizzati. Il ragazzino tiene il suo ben custodito nel cassetto. È un sogno di sportivo, anzi, di tifoso, lui che è uno juventino sfegatato. Vuole stringere la mano del suo idolo, il portiere dei bianconeri: Lucidio Sentimenti. Per questo ha partecipato a un concorso bandito dalla casa cinematografica “Universitalia” e promosso da alcuni poeti italiani. Tutto quello che ha dovuto fare è stato esprimere un desiderio. Giuseppe Carnevali, detto Peppino, ha chiesto d’incontrare Sentimenti, ed è magicamente esaudito. Con i capelli freschi di barbiere acconciati a spazzola, e indosso una giacca elegante, si fa accompagnare a Roma dove, prima del fischio d’inizio della partita Lazio-Juventus, conosce il finalmente il suo beniamino, alla presenza di Giuseppe Ungaretti. Il poeta lo scorta verso il suo sogno, che diventa, nell’avverarsi, quasi un rito di passaggio. Un episodio che cambia la vita di Peppino, destinato a difendere per molti anni la porta della squadra di Orvieto. La stessa mano che stringe quella ben più vigorosa di Lucidio Sentimenti sarà presto in grado di sventare i tiri degli avversari e rilanciare palloni in avanti, in direzione dei compagni. È l’aprile del 1948.

Storia di Vittorio Ravizza

Nelle foto ha uno sguardo austero, grave, determinato. Guarda l’obiettivo come se stesse fissando il suo avversario dritto negli occhi. Con aria di sfida. Porta i capelli a spazzola leggermente imbiancati e i baffi spessi ma corti che spiovono sulla bocca come il tetto di una capanna. Impeccabile nel doppiopetto scuro, il conte Vittorio Ravizza sfoggia un’eleganza distintamente aristocratica. Strano, immaginarlo nella divisa arbitrale. Eppure il conte, evidentemente uno che al gioco ci sapeva stare, indossa anche quella, il 10 agosto 1913, per dirigere la prima partita ufficiale della sua squadra di calcio. Evidentemente ci prende gusto, perché negli anni della sua presidenza ripete più volte quest’esperienza. Sempre dimostrando una sportività fuori dal comune, anzi, sfavorendo sistematicamente i propri calciatori nelle situazioni di gioco dubbie.
Nato il 28 marzo 1874 da un’antica famiglia toscana, Vittorio Ravizza sposa, appena ventitreenne, Rosa Garibaldi, figlia del primogenito di Giuseppe e Anita Garibaldi, che si chiama Domenico come il nonno, ma che è soprannominato dal padre “Menotti”, in onore del patriota Ciro Menotti. Il matrimonio è celebrato il 15 febbraio 1897. La coppia avrà due figli: Giulio e Odoardo.
Dal 4 giugno 1901 al 12 ottobre 1903, il conte Vittorio Ravizza riveste il ruolo di sindaco di Orvieto.
Quando, nel 1903, Menotti muore di malaria, il conte Ravizza condivide, insieme con la moglie, le difficoltà legate alla gestione della proprietà di Carano Garibaldi – all’epoca parte del territorio di Velletri ma oggi frazione del comune di Aprilia – e si fa carico di ospitare, nella sua tenuta a Canale di Orvieto, tutta la famiglia della moglie, e in particolare le sorelle di Rosa che non si sono sposate.
Il conte, grande appassionato di sport, è uno dei padri fondatori dell’USO, di cui è stato il primo presidente. Amante del calcio, organizza nel 1914 il torneo “Coppa Ravizza”. La competizione è pensata all’inizio come una sfida interna tra i titolari della prima squadra e i calciatori più giovani. Poi il conte cambia idea, e invita a iscriversi squadre regionali di collegi, istituti, o formate da militari. La coppa, esposta in una vetrina del corso, sarebbe rimasta al team che avesse vinto per tre volte il torneo.
Ravizza lascia la presidenza nel 1915, quando si trasferisce con la famiglia nella residenza romana. Il 2 gennaio organizza un banchetto d’addio al quale invita i quaranta soci del Sodalizio. In quell’occasione è eletto presidente onorario per acclamazione. Il suo discorso di commiato tocca i precordi dei suoi commensali, che gli tributano applausi prolungati, interminabili. Alla Società, il conte augura un futuro radioso tempestato di successi. Muore il 13 aprile 1947, diciassette anni prima di sua moglie Rosa.

Storia di Graziano De Luca

A cavallo tra i Sessanta e i Settanta, nelle giovanili dell’Orvietana, a difendere la porta degli Allievi c’è Graziano De Luca, arrivato dalla Libertas e destinato a grandi parate nei campionati superiori con Ternana, Bari, Lecce, Nocerina. Nella sua città natale, lui che abita a San Domenico, si trova in squadra con gli amici d’infanzia. Insieme vanno a scaricare i camion della ditta Maggi per rimediare un po’ di frutta da portare al campo. Oppure vanno a San Giovenale alla macelleria di pollami dei fratelli Palazzetti, Elio e Francesco, entrambi dirigenti dell’USO. Gli danno una mano a pulire i polli, e per loro c’è sempre un sacchettino da portare a casa.
Graziano De Luca è alto e assai magro. Così, “Checco” Palazzetti dice sempre alla madre: «Deve farlo mangiare di più». Soldi, però, non ce ne sono, e la madre di Graziano, candidamente, lo fa notare al dirigente dell’USO, responsabile del settore giovanile. Lui si prende la questione a cuore, e ogni giovedì, alla fine degli allenamenti, porta il giovane portiere a cena fuori, al ristorante dell’Ancora. «Mi sentivo un signore» ricorda De Luca. A servirli, portando al tavolo i primi e l’immancabile bistecca, è un giovane cameriere che farà molta strada, e che per alcuni anni svolgerà un ruolo di primo piano nella Società biancorossa: Giancarlo Parretti. L’emozione più grande, però, Graziano De Luca la prova quando i dirigenti gli danno la borsa nera con sopra la scritta “USO” in rosso. «Coronai un sogno; entrai a far parte della squadra della mia città». In bagno, davanti allo specchio, gli basta guardarsi con indosso le scarpette nuove, tutte pulite, per sentirsi di colpo felice.

Storia della Rosina

La Rosina, dietro la cassa del Montanucci, segna su un foglietto caffè, cappuccini, e cornetti ordinati dai dirigenti dell’Unione Sportiva Orvietana. Annota tutto con precisione, perché sa bene che passerà del tempo prima di riscuotere il debito. La sede della Società è nello stesso palazzo del bar, al piano di sopra. Nei momenti difficili le riunioni serali sono quotidiane. Al termine delle sedute, si organizzano sempre rinfreschi, ordinando cibo e bevande al bar della Rosina.
Le riunioni sono spesso roventi. Volano parole grosse, a volte. I punti di vista sono diversi, quelli di scontro sempre dietro l’angolo. Si litiga per la scelta dei giocatori, per gli allenatori. Poi, se non si mangia in sede, si scende insieme a prendere qualcosa al bar Montanucci, dimenticando tutto. Dimenticando, pure, di pagare il conto. La Rosina, passati i primi giorni, comincia a preoccuparsi. Così, quando i dirigenti che sono anche clienti abituali passano di lì, chiede loro che si saldi il debito. Destinatario di queste richieste è, di solito, Luigi Carlini. «Appena entravo nel bar, la Rosina mi bloccava subito, dicendomi: “Signor Gigi, ci sarebbe quel conticino”; io le rispondevo: “Passeremo”». Alla fine, insomma, i conti non tornano mai. I rapporti, però, non cambiano. Sempre cordiali, sempre amichevoli. Perché anche quello, in fondo, è un modo di stare assieme.

( gabrielemartelloni.com )
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