AMARCORD CALCIO ESTERO

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ars72
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Re: AMARCORD CALCIO ESTERO

Messaggio da ars72 »

Addio a Josef Masopust, genio ceco del centrocampo

Praga (Repubblica Ceca), 29 giu. (LaPresse) - Con la morte di Josef Masopust il calcio dice addio ad uno dei giocatori più forti degli anni '50 e '60. Nato nel 1931 in una famiglia di minatori, cresce calcisticamente nella squadra della sua città, il Baník Most. Nel 1952 arriva l'affermazione in patria: passa al Dukla Praga (la squadra dove mosse i primi passi anche Pavel Nedved) nella quale Masopust gioca sedici stagioni dal 1952 al 1968, vincendo 8 titoli nazionali oltre a tre Coppe di Cecoslovacchia. Masopust era un centrocampista di manovra e da ultimo passaggio, quello che oggi viene definito il classico trequartista. Con la maglia di club segna 79 gol in quasi 400 partite ma è in nazionale che il suo talento si rivela al mondo. Nel 1960 arriva terzo agli Europei mentre nel '62 in Cile è uno dei migliori giocatori dei Mondiali, portando la sua Cecloslovacchia in finale dove si arrende solo alla corazzata Brasile segnando comunque il gol del temporaneo vantaggio.

Nello stesso anno diventa il primo giocatore dell'Est Europa a vincere il Pallone d'Oro, che l'anno successivo sarà assegnato al 'Ragno nero' Lev Jascin. Nell'ultima fase della carriera si sposta in Belgio, a Bruxelles, dove si traforma da giocatore in giocatore/allenatore e quindi definitivamente in allenatore: nel 1969 il cecoslovacco guida il Molenbeek alla promozione in prima divisione belga. Tornato in patria allena il Dukla Praga (dal 1973 al 1976) e lo Zbrojovka Brno dal 1976 al 1980 vincendo lo scudetto cecoslovacco nel 1978. Si ritira definitivamente dal mondo del calcio nel 1996.
Nel 2000 è stato nominato il miglior calciatore ceco del secolo e nel 2004 arriva addirittura il riconoscimento di Pelè che lo inserisce nella sua lista dei 125 migliori giocatori della storia. Di lui il campione brasiliano disse: "Masopust è stato uno dei migliori giocatori che abbia mai visto, ma non è possibile che sia europeo, con i suoi dribbling deve essere brasiliano!".

http://www.lapresse.it/

RIP.. uno dei miti europei del dopoguerra..ai livelli di Puskas e Jascin
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ars72
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Re: AMARCORD CALCIO ESTERO

Messaggio da ars72 »

Lutto nel mondo del calcio, è morto Ghiggia. Esattamente 65 anni dopo il Maracanazo...

Adiós grande Ghiggia

Il calcio perde uno degli ultimi fuoriclasse degli anni '50, in Uruguay si è spento Ghiggia.
Clamorosamente scompare 65 anni esatti dopo aver zittito il Maracanà.

Cosa si può dire? Come lo si può spiegare? Il destino, il fato, la grande mano a volte è veramente assurda. In poche ore, dal ricordo al ricordo. In Uruguay si festeggiava l'anniversario del Maracanazo, quando la nazionale celeste schiantò il Brasile padrone di casa vincendo i Mondiali. Si è passati a piangere il simbolo di quel torneo, Alcides Ghiggia .

A 88 anni Ghiggia si è spento in Uruguay . Veramente clamorosa la data della sua morte, avvenuta proprio 65 anni dopo la partita più importante della sua carriera: in quel 1950, nella finale del Maracanà tra il Brasile e la sua nazionale segnò il goal vittoria, dopo aver inoltre propiziato il pareggio di Schiaffino.

"Solo tre persone sono riuscite a zittire il Maracanã: Frank Sinatra , papa Giovanni Paolo II e io" dirà Ghiggia in seguito. Rappresenta un paese intero, ha ispirato, e continua ad ispirare, film, canzoni, libri. Per l'Uruguay la sua storia è come una favola, troppo bella e particolare per essere vera. Troppo brutta, dall'altra parte. Creò il Maracanazo, spezzò i sogni dei 200.000 del leggendario stadio brasiliano, ammutolì un popolo incredulo. Un popolo che non riusciva a crederci, tanto da lasciarsi andare a gesti estremi come rivolte e suicidi.

Ghiggia venne addirittura aggredito da parte di alcuni teppisti brasiliano: rientrò in Uruguay da eroe, ma zoppo. Fu costretto alle stampelle e con la gamba sinistra malconcia; rimase inattivo per quasi tutto l'anno. Anche lui però non era proprio il più santo dei santi: venne squalificato otto per mesi per aver aggredito un arbitro, dopo che questi aveva deciso di annullargli una rete.

Lasciato il Peñarol sbarcò in Italia, per divenire leggenda della Roma: in giallorosso giocherà tra il 1953 e il 1961, vincendo la Coppa delle Fiere nell'ultimo anno capitolino. In città non potè far altro che farsi trascinare dalla Dolce Vita, dalla vecchia fantastica capitale. Meno impegno in campo, più attenzione in completo elegante. Per Ghiggia ci sarà ancora posto però in Serie A: quattro presenze con il Milan nel 1961/1962 e Scudetto in tasca.

Nel frattempo Ghiggia aveva sposato anche la causa italiana , sulla base delle regole dell'epoca: dopo l'Uruguay e il Mondiale 1950 vinto la maglia azzurra, che vestì tra il 1957 e il 1959: cinque presenze e un goal, con tanto di qualificazioni al mondiale 1958 giocate. Ai più giovani non dirà niente, ma è stato tra i più grandi di sempre, un simbolo, un eroe, l'uomo più amato e odiato. Tanti calciatori hanno lasciato il segno negli ultimi novanta anni. Lui ha lasciato un cratere.

Il Brasile, qualche anno fa decise che Ghiggia meritava un posto nella Walk of Fame dello stesso Maracanà , nonostante quella gara, quell'evento. Quegli eventi, quel disastro. Ala destra rapida, fulminea, un piccolo razzo sulla corsia esterna, uomo assist, fantasia al potere, tocco magico, prolunga dell'istinto killer dei suoi compagni uruguagi e italiani. Se ne va lo stesso anno di Eduardo Galeano, cantore del calcio, connazionale. Quella cosa chiamata destino.

Dopo aver appeso gli scarpini al chiodo, dopo aver allenato, dopo aver intrapeso il mestiere di croupier, ha vissuto con estrema umiltà a Las Piedras, dipartimento di Canelones, venti minuti dal centro di Montevideo. Una pensione minima, interviste a pagamento per sopravvivere. Nel 2006 è stato premiato con il Golden Foot ed ha immediatamente venduto il premio: all'asta ha guadagnato 26.000 dollari, con i quali ha comprato un terreno per moglie e figli.

Nel 2014 il Brasile ha nuovamente, come noto, organizzato un mondiale. E' andato in scena il Mineirazo, tra lacrime e angoscia. I verdeoro hanno concluso la competizione quarti, senza mai convincere. Un torneo che non ha mai visto Ghiggia in tribuna: “Nessuno è riuscito a trovarmi un biglietto o un accredito. Il problema, forse, è stato la pessima organizzazione. O più semplicemente c’è rancore nei miei confronti” evidenziava dal Brasile, da San Paolo.

Con la morte di Juvenal nel 2009, Ghiggia era l'unico sopravvisuto di quei 22 uruguagi, di quel gruppo dell'anno domini 1950. Lui, il fantasma del Maracanà. Lui, metà Clark Gable, metà Garrincha. Baffetto, veloce, amante della bella vita, del rum, delle donne, del calcio, della vita. Delle leggende e di eccezionali storie da raccontare. Mai come la sua, non trovate?

http://www.goal.com/

RIP :(
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Re: AMARCORD CALCIO ESTERO

Messaggio da ars72 »

Salonicco-Atene e poi ritorno: intrighi e misteri di un trasferimento maledetto

Non è trascorso ancora un anno dalla salita al potere dei golpisti anti-comunisti capeggiati dal colonnello Papadopoulos, quando, Costas Aslanidis, novello segretario generale dell’Atletica, fa radunare cronisti e curiosi all’Alexandrion Melathron di Salonicco, prima di pronunciare, con enfasi e trasporto emotivo, un discorso nel quale denuncia la corruzione dilagante presente a tutti i livelli dello sport greco. La sua invettiva, però, non ha destinatari ignoti. Gli strali del segretario generale, sputati fuori con un tono tra il perentorio ed il definitivo, rincorrono bersagli ben precisi: Aslanidis punta il dito contro Tzekos Balarinis, difensore dell’Aegeleo, colto in flagrante mentre intascava una tangente da settemila dracme per manipolare l’esito di un incontro, quindi si scaglia su Kostas Vallianos, portiere e stella dell’Ethnikos, additato, anch’egli, di aver combinato, in maniera fraudolenta e dietro la ricezione di ingenti bustarelle, alcuni risultati della formazione di cui doveva essere, in teoria, l’ultimo baluardo.

Non solo i calciatori finiscono nel mirino del nuovo, temibile, segretario. Sulla lista nera del colonnello Costas, compaiono anche i nomi delle società, alcune pure blasonate. A far scalpore, soprattutto, è la netta presa di posizione di Aslanidis nei confronti del Panathinaikos: la superpotenza del trifoglio è messa all’indice perchè ritenuta colpevole di accaparrarsi i servigi di arbitri e segnalinee, in cambio di regalini elargiti con il beneplacito di questi ultimi.
E’ scoppiato lo scandalo. Ma chi crede che l’effetto dirompente del nuovo segretario golpista sul mondo del calcio ellenico si sia esaurito in quelle due ore scarse di conferenza, si dovrà presto ricredere. Alle sillabe infuocate e i pugni sul tavolo, le dichiarazioni d’intenti e i toni minacciosi, Aslanidis fa seguire provvedimenti tangibili. Sono due le norme introdotte dal braccio sportivo di Papadopoulos, che maggiormente rivoluzioneranno l’universo pallonaro ellenico.
Per prima cosa, sulla scorta di una precisa volontà di riappacificazione dei rapporti tra le diverse comunità sociali e culturali greche, logorati da anni di guerra civile, la segreteria generale va a puntellare, irrigidendoli, i criteri alla base dei trasferimenti: nessun calciatore potrà migrare tra squadre appartenenti alla stessa divisione, e proibiti saranno anche i salti di categoria. Altrà novità della riforma Aslanidis: a partire dal ’68, e fino al ’74′, i campioni di Cipro vengono coattivamente integrati alla Alpha Ethniki, la massima divisione del circus ellenico ( l’Olympiakos Nicosia farà da apripista, mentre saranno i concittadini dell’APOEL, a porre fine, sei anni più tardi, a questa sorta di annessione calcistica).

Sintomatico dell’effetto pratico, ottenuto all’indomani del’ingresso in scena dei moderni vincoli in fatto di mercato, è il caso di Georgios Koudas.
Accolto dalla grande famiglia del PAOK di Salonicco all’età di dodici anni, e formatosi nel vivaio della società, il rampante Georgios, di umile estrazione sociale, debutta con i bianconeri nel 1963, quando di candeline ne ha spente diciassette. Sono anni tribolati per il PAOK: la formazione fondata da rifugiati greci da Costantinopoli si colloca sempre a distanza siderale dal vertice e, sia nel campionato ’63-64 che nel torneo successivo, è costretta ad inseguire in classifica gli acerrimi rivali dell’Aris, peraltro ultima compagine capace di portare il titolo a Salonicco, sottraendolo alla bulimica egemonia dei colossi capitolini. Ma è solo questione di tempo. Bisogna pazientare solo un altro anno, ed ecco arrivare finalmente la svolta: Koudas, ancora acerbo, ma decisamente meno grezzo ed impacciato dei primi anni, realizza ben tredici reti – tra cui una, decisiva, in un sentitissimo match vinto 3-2 sull’Olympiakos – trascinando i bianconeri di Salonicco verso un prestigioso sesto posto in graduatoria. Tutti si accorgono delle qualità, che fanno rima con le potenzialità, del ragazzo. In primis i tifosi, deliziati durante il campionato con dribbling e numeri d’alta scuola in serie, poi i portieri avversari, impallinati senza pietà da un ragazzo che finalmente s’è tolto dal volto quell’espressione spaurita dei primi anni e s’è scolpito in faccia l’aria sbarazzina da killer dell’aria di rigore, o i compagni stessi, che finalmente vedono in lui un porto sicuro al quale aggrapparsi nei momenti di difficoltà e sul quale fare affidamento per gli anni futuri.


Purtroppo o per fortuna, però, le eccezionali doti del rampollo bianconero, non passano inosservate dalle parti di Atene. Dalla città del Partenone piovono le offerte per il talento più fulgido dell’ultima nidiata bianconera: Olympiakos e Panathinaikos si danno battaglia per accalappiarsi le prestazioni di Koudas. Alla fine, a godere, sono i Kokkinoi: il sodalizio del Pireo supera la concorrenza dei rivali cittadini, e si assicura le mirabilie del prodigio bianconero, versando circa trecentomila dracme nelle casse del PAOK, al quale vengono girati, come ulteriore conguaglio, i cartellini dei vari Avgitidou, Plessas, Sideris, Kyprianidis e qualche altro virgulto delle giovanili. Per Koudas è un upgrade a livello professionale: vestirà la maglia della squadra più nobile di Grecia e potrà cominciare anche a calpestare zolle d’erba in giro per il Vecchio Continente, servendo la causa biancorossa nelle competizioni continentali. Ma qualcuno non è contento.
I tifosi del PAOK, infatti, sono sul piede di guerra: mai avrebbero pensato di dover incassare un’onta del genere. Furibondi per il trasferimento del loro beniamino nella tanto odiata capitale, organizzano sit-in sotto gli uffici del club, inscenano una protesta vera e propria, finendo per sconquassare i piani dell’Olympiakos, e forse, perchè qui c’è sempre un alone di mistero a far da cornice, anche quelli di Koudas e del PAOK. Per sedare gli animi, sulla spinta emotiva, la società bianconera, da in pasto ai supporter un’altra verità: i dirigenti tessalonicesi, con a capo la figura del presidente Giogros Pantelakis, si dichiarano allo scuro di tutto, smentendo qualsiasi accordo per un trasferimento, che verrà poi bollato come illegittimo, ed invitando tutte le compagini avversarie dell’Olympiakos a boiccatare gli incontri.
E’ il caos. Intanto, nel frattempo, Koudas ha già già raggiunto quelli che, a tutti gli effetti, dovrebbero essere i suoi nuovi compagni: ha già preso possesso del suo armadietto nello spogliatoio e si è già messo a disposizione di Marton Bukovi, innovativo tecnico ungherese sbarcato in Grecia dopo lunghi trascorsi in patria, e con in curriculum pure una qualificante doppia esperienza sulla panchina della Dinamo Zagabria. E, non ultimo, è già sceso in campo, sfoggiando la divisa biancorossa in una manciata di amichevoli: “Alessandro il Grande”, così com’era conosciuto tra i tifosi del PAOK, esordisce il 17 Agosto con gli Argonaut, quindi due giorni più tardi firma una delle dieci reti con la quale i biancorossi polverizzano l’Haidari, e, dulcis in fundo, affronta il Panelefsiniakos in quella che sarà la sua ultima apparizione con i Kikkoi. Nonostante Koudas abbia debuttato con il sodalizio del Pireo – vestendo la maglia del Thrilos, li dove una volta troneggiava fieramente la poderosa aquila bicipite – non hanno intenzione di deporre l’ascia di guerra: rassegnarsi non è verbo conosciuto al tonitruante Pantelakis, ultimo avamposto di un popolo, quello tessalonicese, costretto a subire passivamente l’ennesima prepotenza perpetrata dalla capitale.

Se da Salonicco continuano a dichiarare illegittimo il trasferimento, da Atene, sicuri del fatto loro, fanno scudo, respingendo al mittente tutti i capi d’imputazione, catalogati come peregrini e destituiti di qualasiasi fondamento fattuale. Come dirimere allora la questione, e chiarire, una volta per tutte, quale società potrà avvalersi, nel prossimo campionato, delle prestazioni di Koudas? Prima di apporre la parola fine la querelle, al confine con l’incidente diplomatico, trascorreranno, tumultuosi e pregni di avvenimenti epocali, due anni, forse i più lunghi che la storia recente della Grecia ricordi. E si, perchè “Alessandro il Grande”, tra una carta bollata e l’altra, dovrà adempiere agli obblighi di leva: verrà richiamato alle armi e presterà servizio militare presso la Guardia Costiera. Nel frattempo il paese, reduce da una turbolenta stagione politica, assisterà, il 21 Aprile, al golpe dei colonelli: “una rivoluzione per salvare la nazione dal pericolo comunista”, cosi Papadopoulos e compari giustificheranno il colpo di mano agli occhi della nazione. Contestualmente, in un’atmosfera da maccartistica caccia alle streghe, il paese si avvierà verso una stagione di dura repressione: gli anarcocomunisti, pretesto di nasseristici giochi di potere, risulteranno tra i più perseguitati. Con l’avvento dei colonelli, e con la susseguente introduzione della riforma Aslanidis, anche la scena sportiva ellenica, in maniera quasi osmotica, verrà investita da uno tsunami. Ad essere interessata, tra le altre cose, sarà anche l’annosa faccenda relativa al chiacchieratissimo, nonchè contestatissimo, trasferimento di Koudas dal PAOK all’Olympiakos. Rimasta a macerare nel dimenticatoio per due lunghi anni, lontana dalle luci della ribalta e, per ovvi motivi, anche dalle pagine dei quotidiani, la vicenda Koudas tornerà di stretta attualità nel 1968, in concomitanza con la fine della leva obbligatoria di “Alessandro il Grande”. E’ qui che le trame sportive si intersecano con quelle socio-politiche. In osservanza alle moderne norme, sponsorizzate da Aslanidis, Koudas, coattivamente strappato all’Olympiakos, viene ritrapiantato nei ranghi della formazione tessalonicese. Quando Georgios, il 1 Agosto del 1968, da buon figliol prodigo, varca i cancelli per allenarsi nuovamente con i bianconeri, ad apettarlo trova dodicimila fan in delirio. Due settimane più tardi, poi, inforcata la leggendaria divisa bianconera, con tanto di fiera aquila bicipite proprio li dove batte il cuore, da il via alla sua seconda avventura con il Panthessalonikios Athlitikos Omilos Constantinoupoliton (perchè, almeno una volta nella vita, gli acronimi, spesso freddi e irrispettosi di radici e tradizioni, possono farsi da parte): è il Kavala a battezzare l’era 2.0 di Koudas a Salonicco.

E’ la chiusura ideale del cerchio. Ma, in fondo, è come se “Alessandro il Grande” non fosse mai andato via. Come lui stesso ha candidamente ammesso, alla base del presunto tradimento, non ci sarebbero state motivazioni sportive, ma, bensì, squisitamente economiche: “Non ho compreso esattamente l’affetto che in quel momento la gente provava per me. Non ho capito bene quello che significavo per loro. Nato in una famiglia povera, sono rimasto letteralmente stregato da una prospettiva di vita agiata ad Atene. Guadagnare cosi tanti soldi, all’epoca, poteva alleviare le mie sofferenze e quelle della mia famiglia. Per questo si trattava di un’offerta irrinunciabile“.
Niente macchie da eliminare dunque. Ma se proprio qualcosa Georgios si sarebbe dovuto far perdonare, non si può certo affermare che abbia disatteso questo obbligo, per cosi dire, morale: Georgios Koudas ha realizzato complessivamente centotrentaquattro reti – preceduto in questa speciale classifica soltanto da Stavros Safaridis, altra leggenda del club spintosi due gradini più in alto – spalmate su cinqucentoquattro presenze, che fanno di lui il calciatore più presente della storia del sodalizio tessalonicese, ma, soprattutto, con le sue reti ha traghettato la squadra, prima verso la Kypello (la coppa di Grecia) del 1972, primo trofeo entrato ad ornare la bacheca del PAOK, e poi verso lo storico titolo del 1976.

Dal blog Calciofuorimoda
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Re: AMARCORD CALCIO ESTERO

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Da http://calciofuorimoda.blogspot.it/

Almanacco della Champions League

Borussia Moenchengladbach-Manchester City
(1 vittoria Borussia Moenchengladbach, 1 pareggio, 0 vittoria Manchester City)

Borussia Moenchengladbach-Manchester City 3-1 (20/03/1979): dopo l'1-1 di Maine Road, l'accesso alle semifinali di Coppa Uefa si decide al Bokelbergstadion.

Nel proprio fortino, i Fohlen, vicecampioni d'Europa in carica, non fanno sconti: rompe il ghiaccio Kulik, raddoppia Bruns in avvio di ripresa, poi, intorno al settantesimo, appone la propria firma anche Del'Haye. Nel finale un Kazimierz Deyna crepuscolare, ma ancora efficace, batte Kneib con una bella voleè di destro, rendendo meno amaro il passivo per i Citizens. La corsa dei Puledri giungerà sino al capolinea: dopo due match tiratissimi con gli jugoslavi della Stella Rossa di Belgrado, Simonsen & Co si aggiudicheranno il trofeo per la seconda volta.

Manchester United - Wolfsburg
(2 vittorie Manchester United, 0 pareggi, 0 vittorie Wolfsburg)

Manchester United-Wolfsburg 2-1 (30/09/2009): è vibrante l'unico precedente all'Old Trafford.

Nella sempre suggestiva cornice offerta dal "teatro dei sogni", sono i tedeschi a sbloccare la gara, silenziando i consueti decibel del tifo british: a portare avanti la formazione di mamma Wolkswagen, ci pensa una correzione area dell'ariete Edin Dzeko, attualmente in forza alla Roma. Per i verdi della Bassa Sassonia, alla prima partecipazione in Champions, però, il brivido del vantaggio evapora in un certamen: Giggs e Carrick, nel giro di venti minuti, capolvogono la situazione, consentendo ai Red Devils di consolidare la leadership nel raggrupamento. Alla fine della fiera, la banda di Armin Veh, potrà comunque essere soddisfatta: terza, alle spalle anche dei russi del CSKA Mosca, potrà continuare ad esibirsi in Coppa Uefa, da quell'anno Europa League.
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Re: AMARCORD CALCIO ESTERO

Messaggio da ars72 »

E'scomparso in Inghilterra, da tempo malato di Alzheimer, Jimmy Hill, una carriera divisa tra Fulham e Coventry,nonchè uno dei volti piu' noti e amati della BBC come presentatore e commentatore del campionato inglese.

Il tributo del Coventry

https://www.youtube.com/watch?v=6W90ZftUY78
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Re: AMARCORD CALCIO ESTERO

Messaggio da ars72 »

La Bulgaria piange Trifon Ivanov, morto a 50 anni

Il mondo del calcio è in lutto. È morto a 50 anni Trifon Ivanov, ex calciatore bulgaro icona della nazionale che nel 1994 stupì il mondo, piazzandosi al quarto posto ad Usa '94. Ivanov, diventato famoso anche per il suo look stravagante, è stato stroncato da un attacco cardiaco. Calciatore bulgaro dell'anno nel 1996, nello stesso anno finì al 22esimo posto nella classifica del pallone d'oro.
Nel 1994 la Bulgaria si impose come una delle più grandi sorprese della storia del calcio. In quella nazionale ricchissima di talento (Stoichkov, poi pallone d'oro, Leckov, Mikhailov): si arrese in semifinale all'Italia di Roberto Baggio.

Ivanov, difensore roccioso e di sostanza, dotato di un tiro potente che spesso lo invitava a incursioni offensive, divenne subito un'icona: capello lungo, barba trasandata. Il suo aspetto e il suo modo di stare in campo lo fecero diventare un'icona vera e propria. Nella storia rimane, tra le altre cose, la foto di Ivanov mentre tenta, invano, di ostacolare Roberto Baggio nel momento in cui il Divin Codino va a segno nella semifinale dei Mondiali.

Vincitore del campionato bulgaro per tre volte con il Cska Sofia e anche di quello austriaco con il Rapid Vienna, con il quale ha anche disputato la finale di Coppa delle Coppe nel 1996, perdendola contro il Psg.

http://www.sportmediaset.mediaset.it/

Una delle colonne della Bulgaria di Stoichkov quarta ad Usa'94..

RIP :(
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Re: AMARCORD CALCIO ESTERO

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Addio a Slobodan Santrac, mito calcistico della ex Jugoslavia.
Se ne va il miglior bomber di sempre del campionato jugolavo.

E' morto all'età di 70 anni Slobodan Santrac, mito calcistico della ex Jugoslavia.
La notizia della sua scomparsa è stata data dall'emittente statale serba TV RTS.
Santrac rimarrà nella storia come il miglior bomber di sempre dell'estinta Jugoslavia con 218 gol nel massimo campionato dal 1965 al 1983, la maggior parte dei quali realizzati con la maglia dell'OFK Belgrado. In carriera ha giocato anche con Partizan Belgrado e con gli svizzeri del Grasshoppers.
Con la nazionale jugoslava ha giocato 8 partite, segnando un gol. Dopo il ritiro da giocatore, Santrac intraprese la carriera da allenatore e guidò per quattro anni (1994-1998) la nazionale della Repubblica Federale della Jugoslavia, nata dopo la divisione della Jugoslavia, ottenendo la qualificazione ai Mondiali di Francia 1998. Ha allenato anche l'Arabia Saudita, la Macedonia e diversi club in Cina.

http://sport.repubblica.it/
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Re: AMARCORD CALCIO ESTERO

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http://footballia.net/

Un sito dove rivedersi partite storiche ..clubs e nazionali.
C'è veramente di tutto.
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“Il centravanti è stato assassinato verso sera”
Risolto dopo 37 anni il caso della morte di Mohammed Ali Akid, centravanti della Tunisia ai Mondiali del 1978

Quanto sto per raccontare, e che ha come coordinate geografiche l’Arabia Saudita, sembra preso in prestito dal celebre romanzo di Manuel Vazquez Montalban “Il centravanti è stato assassinato verso sera”, anche se è accaduto davvero e senza la soluzione del caso affidata da Pepe Carvalho.
Che cosa abbiamo di concreto? Un colpo di fulmine, un fulmine e due colpi di pistola. Ruota infatti attorno a queste tre azioni il dramma di Mohammed Ali Akid, centravanti della nazionale tunisina morto il 12 aprile del 1979, a soli 29 anni, e le cui cause del decesso sono state riportate in via ufficiale dal legale della famiglia, Kais Ben Said, soltanto nei giorni scorsi dopo quattro anni di depistaggi, insinuazioni e smentite. Il cadavere di Akid fu rinvenuto sul campo d’allenamento dell’Al Nassr, il club saudita di Riyadh con il quale aveva firmato un contratto qualche mese prima. Secondo le autorità locali Akid morì folgorato da un fulmine che lo raggiunse nel corso di un temporale, uccidendolo sul colpo. La salma del calciatore venne ricomposta nell’ospedale di Riyadh e tumulata nel cimitero musulmano della stessa città. In tutti questi anni la famiglia non era riuscita a ottenere l’autorizzazione per riportare a Sfax (città d’origine) il corpo del congiunto. Inutili gli appelli rivolti alla monarchia saudita così come ai presidenti tunisini Bourguiba e Ben Ali per chiarire alcuni aspetti che non convincevano parenti e legale del defunto.
La svolta si è fatta attendere per 37 anni, regalando però un colpo di scena degno di un giallo scandinavo. L’attuale presidente della Tunisia Beji Essebsi, dopo un lungo braccio di ferro con le autorità saudite, ha ottenuto che la salma di Akid venisse riesumata per essere sottoposta agli accertanti di un’equipe medica inviata da Tunisi. Gli esami hanno appurato che il calciatore non è stato ucciso da un fulmine, ma da due colpi di pistola, uno allo stomaco e l’altro, mortale, all’altezza dell’occhio destro. Le pallottole si trovavano ancora tra i suoi resti. Akid sarebbe stato ucciso da un rivale in amore, vittima quindi di un delitto passionale maturato in ambito sportivo. A onoro di cronaca, il delitto d’onore, secondo l’articolo 18 della legge applicata nei paesi wahabisti, non prevede il carcere, ma una multa pecuniaria. Una storia imbarazzante, dove il rivale, e carnefice, sarebbe stato addirittura il principe ereditario Nayef bin Abdelaziz (deceduto quattro anni fa) e per queste ragioni insabbiata con cura dalle autorità saudite. L’ex attaccante aveva preso parte ai mondiali del 1978 in Argentina, giocando da titolare in tutte e tre le uscite della formazione maghrebina. La squadra, diretta dall’allora emergente tecnico Abdelmajid Chetali, oggi uno degli opinionisti di spicco dei canali sportivi di Al Jazeera, aveva destato un’ottima impressione. Superando il Messico 3 a 1, fermando sullo 0 a 0 la Germania Ovest campione del mondo in carica e perdendo di misura con la temutissima Polonia. Akid si era disimpegnato piuttosto bene, attirando le attenzioni del ricco club saudita (dove negli anni sono transitati campioni come Stoichkov e Denilson, e gli allenatori Don Revie, Artur Jorge, Zagallo e Maturana tra gli atri), fino, purtroppo, alle estreme conseguenze.

( fonte calcioesteronews)
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Addio a Van der Elst, leggenda dell'Anderlecht: aveva 62 anni

Una bandiera per l'Anderlecht con cui vince 2 campionati, Coppa delle Coppe e 2 Supercoppe Uefa. Con la Nazionale è finalista agli Europei italiani del 1980

È stato un simbolo del Belgio. Un punto fermo della sua nazionale protagonista del calcio europeo tra gli Anni 70 e 80 e una vera leggenda per il suo club: l'Anderlecht. Francois Van der Elst è deceduto ieri, 11 gennaio, all'ospedale di Alst per arresto cardiaco. Aveva 62 anni.
ALA COL FIUTO DEL GOL — Classe 1954, Van der Elst, un'ala col fiuto del gol (più di 100 in carriera), fu acquistato nel 1969 dall'Anderlecht. E con la squadra di Bruxelles nel 1976 si aggiudica la Coppa delle Coppe segnando anche una doppietta nella finale vinta contro il West Ham per 4-2. Sempre in quell'anno si assicura il titolo di capocannoniere della Jupiler League con 21 gol. Ma non solo. Con l'Anderlecht vince due campionati belgi (1971-1972 e 1973-1974), quattro coppe nazionali (1971-1972, 1972-1973, 1974-1975, 1975-1976) e due Supercoppe Uefa (1976, 1978).
LO SBARCO NEGLI STATES — Nel 1980, Van der Elst sbarca negli States per giocare con i New York Cosmos di Beckenbauer, Chinaglia e Pelé, conquistando il Campionato Nasl. Dopo una stagione però torna torna in Europa, al West Ham per 400.000 dollari. Chiude la carriera in Belgio, nel Lokeren.
NAZIONALE — Con la maglia della nazionale belga conta 44 presenze e 14 gol. Nel 1980, con la squadra allenata da Guy Thys, si piazza al secondo posto agli Europei 1980 giocati in Italia. Quel gruppo poteva contare su stelle di livello assoluto, oltre a Van der Elst, il portiere Pfaff, il difensore Gerets, il centrale e capitano Cools, e il centrocampista Ceulemans. Nel 1982 gioca anche il Mundial, vinto dagli azzurri del c.t. Bearzot.

(gazzetta.it)

RIP, uno dei punti di forza di una nazionale belga veramente forte.
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Addio a Graham Taylor, fu ct Inghilterra
Guidò i Tre Leoni dal 1990 al 1993

(ANSA) - LONDRA, 12 GEN - Graham Taylor, commissario tecnico dell'Inghilterra dal 1990 al 1993, è morto all'età di 72 anni, probabilmente per un infarto, ha reso noto la famiglia. Soprannominato "la rapa" dai tabloid per aver fallito la qualificazione al Mondiale del '94, Taylor (allenatore anche di Aston Villa e Watford, che portò dalla quarta alla prima divisione), raggiunse la vetta della carriera nel '90, quando fu chiamato alla guida della Nazionale. Con l'Inghilterra ottenne la qualificazione all'Europeo del 1992, dove la sua squadra fu eliminata al primo turno. Ma il mancato accesso alla fase finale del successivo Mondiale decretò la fine del suo mandato, dal quale si dimise. Elton John, ex proprietario del Watford e presidente onorario del club, lo ha ricordato con affetto su Instagram: "Era come un fratello per me. Abbiamo condiviso un legame indissolubile fin dal nostro primo incontro. Insieme abbiamo compiuto un viaggio incredibile insieme e rimarrà con me per sempre".
....

Come CT Taylor un mezzo disastro, da tecnico però fece grandi cose col Watford prima ( un clamoroso secondo posto da neopromosso e la finale di FA Cup persa con l'Everton) e poi con l'Aston Villa guidato al secondo posto nel 1990.
Al Watford lancio' John Barnes e Luther Blissett che in Italia non ebbe grande fortuna col Milan.
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Dopo Cruijff se ne va un'altra stella del grande Ajax: addio a Piet Keizer

Quasi un anno dopo la morte del grande Johan Cruijff, un nuovo lutto scuote il mondo del calcio olandese. E' infatti scomparso all'età di 73 anni, dopo una lunga battaglia con un cancro ai polmoni, Piet Keizer, leggendario attaccante del grande Ajax e compagno di squadra del 'Profeta del goal'.
Keizer, ala sinistra di grandi doti atletiche e fiuto del goal, è stato il primo giocatore olandese professionista della storia, e ha indossato la maglia dei Lancieri dal 1961 al 1974.
Con l'Ajax Keizer ha vinto di fatto tutto: 6 campionati olandesi, 5 coppe d'Olanda, 3 Coppe dei Campioni consecutive (più una persa in finale contro il Milan), 1 Coppa Intercontinentale e 1 Supercoppa Europea.
In totale ha collezionato 365 presenze (4° di sempre nel club per numero di presenze) e 146 goal con i Lancieri. Il suo addio fu burrascoso: l'ala sinistra litigò con il suo allenatore Hans Kraay, perché avrebbe voluto spostarsi in mediana negli ultimi anni della carriera.

Kraay, tuttavia, si rifiutò di accettare la proposta, mandando su tutte le furie il suo capitano. Allora Keizer decise di lasciare il calcio, giurando di non toccare mai più una pallone in vita sua. La leggenda narra che trent'anni dopo, guardando il figlio giocare una partita a calcio da bordocampo, si sia rifiutato addirittura di di stoppare una pallone finito sotto i suoi piedi, facendolo scivolare oltre di sé.
Buona anche la carriera di Keizer con l'Olanda, chiusa con 34 presenze e 11 goal. Discusso fu invece il suo rapporto con Johan Cruijff. "Si vedeva che ci teneva a me: si assicurava sempre che la sera fossi a casa per le nove e mezza, per evitare che l'allenatore mi multasse", ricordò il campione olandese nella sua biografia. Tuttavia proprio la scelta di farlo capitano della squadra nel 1973 causò l'addio di Cruijff al club di Amsterdam e il suo passaggio al Barcellona.

Ciononostante in campo, Keizer e Cruijff, si intendevano a meraviglia: suo uno degli assist al numero 14 per il 2-0 che segnò la vittoria olandese della Coppa dei Campioni 1972 contro l'Inter di Invernizzi. Ora si ritroveranno l'uno accanto all'altro nei campi del cielo.

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Addio a Raymond Kopa: è stato il primo Pallone d'Oro francese

È morto al'età di 85 anni Raymond Kopa, leggenda del calcio francese degli anni Cinquanta, ex attaccante del Real Madrid e della Nazionale dei Bleus, nonché primo Pallone d'oro per la Francia nel 1958. Passato dallo Stade de Reims al Real Madrid, Kopa ha anche vinto col club spagnolo 3 volte la Coppa dei Campioni.
La carriera — Fantasista dalla straordinaria versatilità, Kopa scrive pagine memorabili con lo Stade de Reims e col Real Madrid, vincendo il Premio del Presidente Uefa nel 2010. Con la nazionale francese disputa 2 Mondiali e indossa 6 volte la fascia di capitano realizzando 18 gol in 45 partite. Al Mondiale del 1958 conquista il terzo posto e viene incoronato miglior giocatore del torneo. Lo stesso anno France Football decide di assegnargli il Pallone d'Oro. Col Reims conquista 2 titoli di Francia (1953 e 1955) e arriva in finale di Coppa dei Campioni, persa col Real Madrid che pochi mesi dopo lo acquista. Con la maglia blanca alza la Coppa dei Campioni per 3 tre anni consecutivi (1957, 1958, 1959) e vince anche 2 campionati prima di rientrare al Reims con cui gioca fino al termine della carriera mettendo in bacheca altri 2 campionati (1960 e 1962). Il ritiro arriva nel 1967. Più tardi, nel novembre 1970, diventa il primo calciatore francese a essere insignito della Legione d’Onore.

http://www.gazzetta.it/Calcio/Estero/03 ... 0611.shtml
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Liverpool, muore la "leggenda nascosta" Ronnie Moran

Dal 1949 al 1998 al servizio dei Reds: scompare all'età di 83 anni uno dei personaggi più iconici della storia del club del Merseyside.

Immaginate per un attimo di nascere nella periferia di una città famosa, tra le altre cose, per essere la culla di una delle squadre di calcio più forti e conosciute al mondo. Immaginate di crescere per le strade di quel quartiere con il sogno, un giorno, di poter diventare l'eroe dei tifosi e il protagonista della storia di quel club che tutti, uomini, donne e bambini, adorano e venerano come una di divinità.
Immaginate infine di realizzare il vostro sogno, di vestire quella maglia e non abbandonarla mai, fino alla vostra morte. È questa, a grandi linee, la storia di Ronnie Moran, ex leggenda del Liverpool, scomparso nella mattinata di oggi dopo aver combattuto contro una rara forma di demenza.

Siamo a Crosby, periferia nord ovest di Liverpool. È qui, tra le infinite vie fatte di case popolari in mattoncini rossi e le coste del mare irlandese, che nasce e cresce Ronnie Moran. Alla tenerissima età di 15 anni, esattamente nel 1949, si unisce alla squadra delle riserve dei Reds, iniziando un cammino che abbandonerà solamente 49 anni e mezzo dopo. Nel 1952 firma il suo primo contatto da professionista e nel novembre dello stesso anno fa il suo esordio assoluto in prima squadra, durante la sconfitta dei Reds per 3-2 sul campo del Derby County.

All'inizio della stagione 1955-1956 si stabilisce nell'undici titolare, proprio nel periodo in cui il Liverpool vagava a metà classifica della seconda divisione inglese. Nel corso degli anni la squadra cresce e migliora, riuscendo a conquistare la promozione nel 1962 e vincendo addirittura il titolo appena due anni più tardi.

Nel 1966, dopo aver conquistato appena un campionato e un Charity Shield, Ronnie si ritira dal calcio giocato ed entra ufficialmente a far parte dello staff del Liverpool Boot Room, la stanza adiacente allo spogliatoio del Liverpool nella quale gli allenatori e i loro collaboratori si ritiravano prima e dopo le partite per godersi una tazza di tè e discutere sui miglioramenti e le modifiche tattiche da apportare alla squadra.

Per ben 25 anni Moran lavora come collaboratore dello staff degli allenatori che si susseguono sulla panchina dei Reds. Fino a quando, nel 1991, Dalglish annuncia a sorpresa le sue dimissioni e Ronnie viene promosso come manager ad interim fino al termine della stagione. Quando l'annata successiva Graeme Souness diventa allenatore, Moran ha una seconda occasione: nel marzo del 1992, quando Souness fu costretto a operarsi al cuore, Ronnie viene nuovamente eletto come manager ad interim e in pochi mesi guida i Reds verso la finale di FA Cup, poi vinta insieme a Souness quando quest'ultimo rientra dalla convalescenza.
Fino al 1998 Moran continua a lavorare nello staff del club, poi a 65 anni decide definitivamente di salutare il club che per quasi mezzo secolo lo aveva visto protagonista. Prima da giocatore, poi da allenatore, infine come collaboratore. Dal 1949 al 1999, ha visto vincere al suo amato Liverpool ben 44 trofei ed è diventato uno dei personaggi più amati dai tifosi e più apprezzati dalla società, anche e soprattutto per l'infinita passione e l'impegno smisurato che ha dedicato alla causa dei Reds.
L'annuncio della sua scomparsa è stato dato su Twitter dal figlio ed è stato immediatamente ripreso anche dal Liverpool e da numerosi giocatori che nel corso degli anni hanno calcato i campi di allenamento di Melwood, da Luis Garcia a Joe Flanagan. Anche l'Everton, con un tweet sul proprio profilo ufficiale, ha voluto esprimere le condoglianze alla famiglia e a tutti i tifosi dei Reds per la perdita di un padre e di una leggenda assoluta.

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Addio a Stéphane Paille ex attaccante tra le tante di Sochaux, Montpellier, Caen ,Porto, Bordeaux scomparso prematuramente a 52 anni per un male incurabile.

Paille si mise in luce soprattutto ad inizio carriera con l'Under 21 francese con cui vinse l'Europeo tanto da essere nominato calciatore francese dell'anno nel 1988: era la Francia di Angloma, Blanc, Sauzée ed Eric Cantona
In quel campionato europeo Under 21 di Paille si ricordano soprattutto i gol con cui la Francia elimino l'Italia di Cesare (e Paolo) Maldini in due partite tiratissime nei quarti di finale: una rete in rimonta nel 2-1 dell'andata, una doppietta nei minuti finali e sempre in rimonta al ritorno a San Benedetto del Tronto per il 2-2 che valse la qualificazione della Francia alle semifinali.
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