AMARCORD CALCIO ESTERO

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Monsieur 300 buts: lo strano caso di Delio Onnis

Michel Platini, giunto nel 1982 alla Juventus, diverrà leggenda con la maglia bianconera, vincendo una marea di trofei e conquistando per tre volte consecutive il Pallone d’Oro e la classifica marcatori del nostro campionato. Prima di approdare a Torino, visse un triennio con la casacca dei francesi del Saint-Étienne, e, nonostante fosse già devastante sotto tutti i punti di vista, non riuscì mai a vincere la classifica cannonieri. Uno dei motivi che hanno impedito di iscrivere il suo nome nell’albo d’oro dei re dei bomber del torneo d’Oltralpe ha un nome e cognome ben preciso: Delio Onnis, semplicemente, il più prolifico attaccante della storia del calcio transalpino, che in Italia risulta praticamente sconosciuto, anche tra gli appassionati.

La sua storia è uno dei grandi misteri di questo sport, capace di regalarci delle storie epiche e, contemporaneamente, dimenticarsi di alcuni tra i suoi più grandi talenti. Ed il calciatore in questione, numeri alla mano, rientra ampiamente nell'ultima categoria. Una delle più grandi particolarità è che il nostro è anche italiano a tutti gli effetti. Delio, infatti, nasce nel 1948 a Giuliano di Roma, paesino di poche migliaia di anime in provincia di Frosinone. I genitori, originari della Sardegna, seguono le orme di tantissimi nostri concittadini, optando per l’emigrazione in Argentina, ottenendo la doppia cittadinanza. Ed è lì che, appena 15enne, viene ingaggiato dal Club Almagro, una delle innumerevoli squadre di Buenos Aires. Il suo ruolo naturale è centravanti: sgraziato, non dotato di tecnica sopraffina, ma rapido e concreto nel depositare la sfera in rete, con un naturale fiuto per il goal. Da subito segna diverse reti di testa, divenendo il prototipo del goleador di razza.

Dopo tutta la trafila nelle giovanili, il primo grande salto avviene nel 1968, acquistato dal Gimnasia La Plata, che gli pone la maglia numero 9 sulle spalle. I tre anni da titolare lo vedono mettere a referto 64 reti in 113 partite: una media impressionante per l’epoca, che, naturalmente, fa gola in Europa. Purtroppo, nonostante il duplice passaporto, l’acquisto di calciatori stranieri o militanti all’estero cozza con le rigidissime regole del nostro campionato di quegli anni: non sapremo mai se il Cagliari, campione d’Italia nel 1970, avesse o meno avuto interesse per un figlio della propria terra. Resta il rimpianto per non averlo potuto vedere in tandem con Gigi Riva: potenzialmente, sarebbe stata una coppia d’attacco stellare.

La storia, di contro, ha voluto che divenisse un’icona della Ligue 1: nel 1971, il primo club a credere nelle potenzialità del centravanti è lo Stade de Reims, neopromosso la stagione precedente dopo anni difficili. Con il club ottiene due salvezze, ma la sua costanza sottoporta è spaventosa: 39 centri in 69 partite. Un cecchino. Se il resto d’Europa continua ad ignorarlo, un’altra squadra francese lo vuole nelle sue fila. E, per un re del goal, niente di meglio che una squadra del Principato: in un periodo storico movimentatissimo per Montecarlo, nel 1973 le ambizioni del Monaco necessitano di Onnis, un attaccante infallibile in grado di mettere paura alle difese. Al primo anno, il club vive un’annata difficilissima, salvandosi solo grazie alla miglior differenza reti; a livello realizzativo, però, Delio ripagherà la fiducia siglando 26 reti e, inoltre, segnerà anche un goal nella finale di Coppa di Francia, persa per 2-1 contro i campioni del Saint-Étienne: ciò consentirà di partecipare l’anno successivo alla Coppa delle Coppe (avventura brevissima), garantendogli l’esordio in campo internazionale. Nel 1974/75 mette a referto 30 reti, ottenendo il primo titolo nella sua carriera di capocannoniere del campionato.

Lui continua a segnare con regolarità, ma la squadra non gira: così, l’anno dopo, nonostante le 29 marcature, la squadra clamorosamente retrocede in Division 2. Un momento sconfortante: se il mercato fosse stato regolarmente aperto, qualche italiana avrebbe potuto farci un pensierino (magari il rampante Napoli di quegli anni). Ma lui, mettendo insieme le sue anime sarde, laziali ed argentine, non si abbatte e si prende la squadra sulle spalle, divenendo il simbolo di un’autentica impresa sportiva: capocannoniere anche nella seconda divisione, la squadra ritorna immediatamente nella sua dimensione e, in modo sorprendente, da neopromossa vince il titolo, a 15 anni di distanza dall’ultimo. Una vittoria sudata nel testa a testa contro il Nantes, in cui le 29 reti di Delio sono risultate ancora una volta decisive.

Nonostante un monte reti stratosferico e la soddisfazione di aver vinto il campionato, nel pieno della maturità calcistica, l’Argentina non lo tiene in considerazione per il Mondiale casalingo: la presenza di elementi di valore nella rosa della Seleccion è sempre stata fuori discussione, ma si fa fatica a comprendere come un calciatore con mezzi e statistiche simili non sia riuscito a meritarsi anche solo una convocazione in Nazionale. Snobbato dall’Albiceleste e dall’Italia (sempre a causa delle suddette situazioni), lui continuerà a segnare con continuità: nel 1979/80, vince, in coabitazione con il tedesco Kostedde, la classifica marcatori con 21 reti e alza la Coppa di Francia, segnando il 3-1 definitivo nella finale contro l’Orleans. È l’ultimo acuto in biancorosso: dopo sette anni di reti e riconoscimenti, il club decide di fare a meno di lui, considerandolo ormai tagliato fuori anche a causa dell’età.

Ma lui, in barba a tutti, continua a fare la cosa che sa fare meglio: goal. La sua nuova meta è la neopromossa Tours e, come segnalato in apertura, per altre due volte consecutive rivince la classifica marcatori: "Le Roi" può solo stare a guardare. Negli anni in Loira, continua a dimostrare un grande feeling con la Coppa nazionale: guiderà la squadra per due volte consecutive alle semifinali, tuttora miglior risultato mai raggiunto dal club della città patrimonio dell’UNESCO. Nel 1983 intraprende l’ultima avventura della sua carriera da calciatore e, ancora una volta, sceglie una matricola, il Tolone, stupendo tutti nuovamente, nonostante in molti l'avessero già dato per finito avendo ormai 36 anni: alla prima stagione, vince per la quinta volta il titolo di miglior marcatore (insieme a Garande) con 21 reti, centrando la permanenza in massima serie e facendola approdare alle semifinali di Coppa (come per il Tours, miglior risultato di sempre).

L'anno dopo, altre 17 reti portano il suo team quasi in Europa: per un solo punto, il Metz vince la corsa per la zona Coppa UEFA. Stavolta, è davvero l'ultima grande stagione. Ufficialmente concluderà nel 1985/86, chiudendo una carriera da bomber vero, per poi dedicarsi ad una poco prolifica carriera da allenatore e facendo parte dal 2008 dello staff del settore giovanile del Monaco, la sua squadra. In Francia, il calciatore è molto noto per essere il miglior realizzatore della storia del torneo (più di Fontaine o Papin, per intenderci) e per essere un finalizzatore eccezionale, tanto da meritarsi l’appellativo di Monsieur 300 buts, per via del numero di reti messe a segno nel campionato della Tour Eiffel. In realtà, però, il conteggio di reti effettive parla di 299 goal. Non bastava il non essere mai stato conteso da alcuna Nazionale o dai vari top club del periodo: anche la statistica non è dalla sua.

Un calciatore fenomenale ma che ha dovuto scontrarsi con un destino che ha trovato particolare gusto a rendersi beffardo nei suoi confronti in tutto il corso della sua carriera, la quale gli ha comunque regalato delle soddisfazioni immense e che lo ha reso, numeri alla mano, uno dei più importanti goleador di sempre.

https://vivoperlei.calciomercato.com/ar ... elio-onnis
........

Onnis segnò 299 reti nella Ligue 1, il secondo dietro di lui è Bernard Lacombe con 255, il terzo Revelli 216...numeri incredibili per uno dei calciatori piu' dimenticati di sempre.

Una bella ricostruzione della storia di Onnis col simpatico aneddoto del tifo per il Frosinone:


https://www.youtube.com/watch?v=2Q8enhvtB8w
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L'Argentina piange Luque, El Pulpo fra gli eroi mondiali del '78

Dopo Maradona, l’Argentina piange un altro pezzo di storia. Si è infatti spento a 71 anni Leopoldo Jacinto Luque, bomber protagonista del primo titolo mondiale conquistato dall’Albiceleste nel 1978 in piena dittatura militare. "El Pulpo”, com’era soprannominato l’ex attaccante originario di Santa Fe, si è arreso dopo oltre un mese di lotta contro il Covid che aveva contratto a metà dicembre. Luque si trovava ricoverato da inizio gennaio e, stando a quanto riportano i media locali, sarebbe stata fatale l’ultima crisi respiratoria verificatasi nel pomeriggio.

DALLE BICI AL PALLONE— Luque entrò nella storia del calcio argentino prima per i trionfi con la maglia del River Plate di Labruna, con cui vinse 5 titoli negli anni ’70, poi per il titolo mondiale vinto con l’Albiceleste grazie anche ai suoi 4 gol. Insieme a miti del calibro di Menotti, Kempes e Passarella piegò prima l’Ungheria e successivamente la Francia (sconfitta grazie a un suo gol), ma dovette saltare la terza sfida della prima fase contro l’Italia a causa di una lussazione alla spalla. In quei giorni Luque superò un dolore anche più grande, quello per la morte del fratello minore verificatasi proprio alla vigilia della partita contro la Francia. Ma il “Pulpo” trovò la forza per prendere parte anche alla seconda fase e realizzare una doppietta nello storico e tanto discusso 6-0 al Perù che valse all’Albiceleste l’accesso alla finale (poi vinta) contro l’Olanda. Pochi però sanno che, prima di scoprire la grande passione per il pallone, Luque fu uno sportivo a tutto tondo cimentandosi nella ginnastica, nello scherma e nel ciclismo. A “convertirlo” al calcio fu un gruppo di preti, i quali giocavano in un campo adiacente al percorso che Luque faceva sulle due ruote per allenarsi insieme al padre, ciclista di professione. Dopo la prima partitella a calcio, fu amore a prima vista fino a conquistare il tetto del mondo con l’Albiceleste e l’amore eterno di un popolo intero. Un popolo che oggi piange un altro pezzo di storia dopo l’addio del Diez.

gazzetta.it

Un altro campione del mondo argentino che se ne va..dopo Maradona, Brown e Cuciuffo titolati nel 1986 e Houseman e Ruben Galvan nel 1978.
Argentina che peraltro è in lutto nazionale per la scomparsa dell'ex presidente Carlos Menem.
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Joachim Streich (1951-2022), il bomber dall’altra parte del Muro

Dopo una lunga malattia, è scomparso a 71 anni Joachim Streich. Se Gerd Müller ha impersonificato il gol in Germania Ovest, dall’altra parte del Muro di Berlino Streich ne ha rappresentato l’alter ego con talento e dignità, nonostante le enormi differenze date dal periodo storico. L’omaggio a un cannoniere troppo spesso dimenticato.

Nato il 13 aprile 1951 a Wismar, nella Repubblica Democratica Tedesca, Joachim Streich inizia a giocare a calcio a sei anni nell’Aufbau Wismar. Passa nel settore giovanile dell’Hansa Rostock, da qui il debutto nella squadra B nel 1969. Contestualmente, aveva completato l’abilitazione come montatore di quadri elettrici. Qualche mese e approda alla prima squadra, che milita nell’Oberliga, massima categoria del calcio DDR. Dopo l’Under 18, entra a far parte della Nazionale Under 23 e nella Germania Est dei “grandi”. L’8 dicembre 1969 ecco il debutto contro l’Iraq. Inizialmente come ala destra, gradualmente accentra il suo raggio d’azione fino a diventare un vero e proprio terminale offensivo: i gol iniziano ad arrivare con grande regolarità e dimostra tutto il suo bagaglio tecnico, grazie anche alla notevole elevazione nonostante i 173 centimetri d’altezza.

Nel 1972 vince la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Monaco, due anni più tardi prende parte al primo e unico Mondiale della storia DDR: segna due gol ma non disputa, per scelta tecnica, la storica gara contro i cugini dell’Ovest. Nel ’76, quando la rappresentativa orientale vince l’oro a Montreal, Streich non c’è perché escluso dalle convocazioni. Un anno prima aveva lasciato Rostock, perché intendeva legarsi al Carl Zeiss Jena. Non gli fu consentito. Potendo scegliere tra restare all’Hansa o andare al Magdeburgo, decise per la seconda ipotesi.

Fu qui che Joachim esplose in tutta la sua verve realizzativa. Nell’arco di un decennio si laureò per quattro volte capocannoniere dell’Oberliga, diventando il topscorer di sempre con 229 gol; stabilì il primato di reti in un solo match, sei, segnati al Chemie Böhlen nel 1978-79; venne premiato per due volte quale calciatore dell’anno; diventò il recordman di presenze e gol in Nazionale, rispettivamente 98 e 53. Per tanti anni il suo score con la DDR era stato di 102 partite e 55 marcature, ma la FIFA decise poi di non conteggiare le gare olimpiche. La sua 100ª gara l’aveva disputata a Wembley contro l’Inghilterra nel settembre 1984.

Quel giorno scambiò la maglia con un avversario inglese. Un curioso aneddoto racconta come, invece di preservarla come prezioso ricordo, Streich utilizzò quella casacca come maglia da lavoro per imbiancare casa. Un personaggio umile, alla mano, che dava poco peso ai comunque grandi traguardi raggiunti in carriera. Ma c’era una cosa che a Joachim non piaceva proprio: venire considerato come il Gerd Müller dell’Est: “Ognuno non può essere semplicemente sé stesso?“, soleva affermare quando saltava fuori questo parallelismo.

Appesi gli scarpini al chiodo nel 1985, il nostro venne letteralmente trasportato sulla panchina del Magdeburgo. Con la caduta del Muro di Berlino e la riunificazione, diventò il primo tecnico dell’est ad allenare un club occidentale: avvenne con l’Eintracht Braunschweig nel ’90, ma venne esonerato a undici gare dal termine del campionato di seconda divisione. Termina la sua storia con un ruolo attivo nel calcio nel 1997, iniziando a lavorare come commesso per una catena di articoli sportivi – sempre a Magdeburgo – ed editorialista per la rivista Kicker fino alla pensione.

A Joachim Streich viene diagnosticata una sindrome mielodisplasica, con cui lotta caparbiamente per lungo tempo. A marzo deve rinunciare a un trapianto di cellule staminali a causa di una polmonite. Il medico che lo cura era stato un suo tifoso, quando Joachim segnava su tutti i campi della Germania Est. Il 16 aprile soccombe infine alla malattia, che era stata tenuta a bada nel tempo ricorrendo all’emotrasfusione. Muore tre giorni dopo il compimento dei 71 anni. Nel 2021 era stato introdotto nella Hall of Fame del calcio tedesco, insieme a Klose, Eckel, Lattek e Kohler.

mondosportivo.it

Streich e' stato ricordato anche ieri dal Magdeburg in occasione della partita vinta contro lo Zwickau che è valsa la promozione in Zweite Liga per i biancoazzurri.
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Morto il polacco Kupcewicz: fece tremare Zoff nel Mondiale del 1982

Lutto nel mondo del calcio. E' morto l'ex nazionale della Polonia, Janusz Kupcewicz all'età di 66 anni e questa mattina è stato l'ex compagno di squadra, Zbigniew Boniek su Twitter a comunicarne la scomparsa. In Italia i meno giovani ricordano lo sfortunato ex centrocampista polacco per la partita giocata dalla Polonia contro l'Italia in semifinale del campionato del Mondo del 1982 a Barcellona. Dopo il vantaggio di Paolo Rossi, la Polonia sfiorò il pareggio con un bolide su punizione di Kupcewicz che fece tremare il palo della porta difesa da Dino Zoff. L'Italia poi raddoppiò nella ripresa sempre con "Pablito" e vinse la rassegna iridata battendo la Germania in finale col punteggio di 3-1.
CATANIA - Ma Kupcewicz poteva anche venire in Italia e giocare in Serie A nella stagione 1983/84. L'allora presidente del Catania, Angelo Massimino stava per portarlo alle pendici dell'Etna e consegnarlo al tecnico Gianni Di Marzio. Fu celebre la frase proferita ai cronisti dal pittoresco "Presidentissimo" rossazzurro: "Trattiamo quel giocatore di cui ancora oggi Zoff guarda il palo". Durante la sua lunga carriera professionale Kupcewicz ha militato in tanti club ma la sua pagina più bella è stata scritta al Mondiale del 1982 con la Polonia che arrivò terza avendo battuto nella finalina la Francia per 3-2 con un suo gol.
(Itasportpress)
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Addio a Uwe Seeler, muore a 85 anni uno dei miti del calcio tedesco

Se ne va uno degli attaccanti europei più forti di sempre: fu il capitano dei tedeschi al Mondiale 1966 perso in finale con l'Inghilterra e protagonista assoluto della storia dell'Amburgo

Se ne è andato a 85 anni Uwe Seeler, uno dei miti del calcio tedesco. Era nato ad Amburgo nel 1936 e alla squadra della sua città ha dedicato tutta la carriera. Attaccante dell'Amburgo dal 1953 al 1972, ha segnato 445 gol in 519 presenze tra Oberliga e Bundesliga, vincendo un titolo tedesco nel 1960 (in quell'anno finì terzo al Pallone d'Oro dietro a Suarez e Puskas) e una coppa di Germania nel 1963. Del club anseatico è stato anche presidente dal 1995 al 1998.

La maglia della nazionale tedesca, quella della Germania Ovest, è stata l'altro suo grande amore: 72 presenze, 43 gol e un mondiale, quello del 1966, perso da capitano in finale contro l'Inghilterra a Wembley. Un epilogo peraltro molto discusso e atroce per i tedeschi puniti dal gol-fantasma di Hurst. Con l'Amburgo ha perso pure una finale di Coppa Delle Coppe contro il Milan di Rocco, nel 1968, quando conquistò il titolo di cannoniere della competizione. Sconfitte che non hanno certo intaccato la sua popolarità in Germania dove Seeler era amatissimo, forse ancor più dei miti Fritz Walter, Beckenbauer o Muller. Lo chiamavano "Uns Uwe", "il nostro Uwe" per la sua generosità e lealtà, più forte di qualsiasi rivalità, e per questo veniva applaudito in ogni stadio tedesco. L'Amburgo ha dato notizia della sua scomparsa, poi confermata dalla famiglia del campione tedesco.

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Il 26 novembre scorso si è spento a 66 anni il bomber portoghese Fernando Gomes, due volte Scarpa d’Oro, da qui il soprannome Bi-Bota, e considerato da molti l'erede di Eusebio nella nazionale lusitana.
Fernando Gomes è ancora oggi il miglior marcatore della storia del Porto con 288 reti. Con i Dragoni vince praticamente tutto: 5 campionati, 1 Coppa dei Campioni nel 1987 anche se saltò per infortunio la finale contro il Bayern, tre Coppe e tre Supercoppe nazionali, una Supercoppa europea, una coppa Intercontinentale in cui segnò un gol a Penarol. Minor fortuna in nazionale, all'epoca poco competitiva, con cui comunque disputò la fase finale degli Europei e quella del Mondiale del 1986.
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Croazia: morta leggenda calcio croato Blazevic
Da allenatore condusse nazionale a terzo posto a Mondiali 1998

(ANSA) - BELGRADO, 08 FEB - E' morto a 87 anni l'ex calciatore e allenatore croato Miroslav "Ciro" Blazevic. Ne hanno dato notizia i media croati. Vera leggenda del calcio croato, Blazevic era nato nel 1935 a Travnik e aveva giocato negli anni '50 e '60 per Dinamo e Lokomotiva Zagabria, a Sarajevo, Rijeka, concludendo la sua carriera da giocatore in Svizzera. In quella da allenatore, durata cinque decenni, aveva guidato squadre in Svizzera, Croazia, Grecia, Slovenia, Bosnia, Cina e Iran. Come allenatore della nazionale croata, Blazevic aveva portato la squadra al terzo posto ai Mondiali del 1998 in Francia. (ANSA).
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Addio a Just Fontaine: storico recordman di gol in un solo Mondiale
Il leggendario attaccante francese aveva 89 anni ed è passato alla storia al campionato del mondo del 1958 in Svezia

I miti sono immortali solo nei ricordi e nelle pagine di storia, anche se effimere come quelle che parlano di un pallone che rotola. Nella vita vera se ne vanno, come tutti gli altri. Just Fontaine, insieme a Kopa, Platini, Zidane e, anche se ha tutta una carriera davanti, Mbappé, è uno dei giocatori più importanti della storia del calcio francese e non solo, visto che detiene un record incredibile, quello dei gol segnati in un solo Mondiale: ben 13 nell'edizione svedese del 1958. Fontaine ha lasciato questo mondo a 89 anni. Lo si è appreso dai familiari.

Una carriera funestata dagli infortuni non gli ha impedito di entrare nel ristretto numero degli attaccanti più forti di tutti i tempi. Nato a Casablanca nell'agosto del 1933, ha iniziato la carriera proprio in Marocco, prima di trasferirsi in Francia, al Nizza prima e allo Stade de Reims nel 1956. Vince la classifica dei cannonieri della Coppa dei Campioni del 1959, quando raggiunge la finale poi persa contro il Real dei 5 successi consecutivi.
Si ritira a nemmeno 30 anni, nel 1962, in seguito ai tanti problemi fisici che non hanno smesso di tormentarlo in carriera. Intrapresa la carriera di allenatore ha guidato la nazionale francese, ma solo per due amichevoli, quella del Marocco, il Psg e il Tolosa negli anni '70. Per tutti gli appassionati di calcio resterà una leggenda per quell'impresa del 1958, un record che i tanti campioni che hanno giocato una coppa del mondo negli ultimi 64 anni non sono riusciti a superare né tanto meno a eguagliare, nonostante il numero più alto di partite che si giocano nella rassegna iridata rispetto ai suoi tempi.

MACRON: "MITO FONDATORE DEL CALCIO FRANCESE"
"Insieme a Kopa ha scritto la prima epopea del calcio francese. Fontaine resterà, per sempre, il nostro mito fondatore". Il presidente francese Emmanuel Macron ricorda così in un tweet Just Fontaine.

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Re: AMARCORD CALCIO ESTERO

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È scomparso, all’età di 93 anni, Antonio Carbajal, ex portiere del Leon e leggenda del calcio messicano, il primo a giocare 5 Mondiali. A darne l’annuncio la Federcalcio del Messico che ricorda il primato dell’ex stremo difensore che giocò le kermesse iridate del 1950 in Brasile, 1954 in Svizzera, 1958 in Svezia, 1962 in Cile e 1966 in Inghilterra.


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Re: AMARCORD CALCIO ESTERO

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Scomparso a 57 anni Stephane Demol ex difensore del Bologna nel 1988/89 e della nazionale belga. Gioco' da titolare i Mondiali del 1986 e del 1990.
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Addio a Jongbloed, il portiere tabaccaio della grande Olanda

L’Olanda dei Mondiali del 1974 è La squadra che ha cambiato il Calcio. La rivoluzione tattica messa in atto da personaggi come Rinus Michels in panchina e Johan Cruijff in campo è pari alla nascita di Cristo per il conto degli anni in Occidente. L’attacco dello spazio, la suddivisione del campo, il ragionamento per zone e funzioni e non per ruoli: tutti facevano e sapevano fare tutto. Concetti che hanno posto le basi per la tattica calcistica moderna. Ironia della sorte però, quell’Olanda non conquistò neanche un titolo, aprendo un dibattito filosofico che compete intimamente ad ogni appassionato: la storia la fanno solo i vincitori?

Nella rosa piena di talento, estro e fantasia di quell’Olanda che ha cambiato il calcio, c’era un personaggio che a primo impatto potrebbe farci chiedere: ma lui, che ci faceva li in mezzo?

Era il numero 8, il portiere, e di professione non faceva il calciatore, ma il tabaccaio.

Jan Jongbloed, portiere per passione nell’Olanda che ha rivoluzionato il Calcio, si è spento ieri all’età di 82 anni dopo una malattia decennale. Estremo difensore dell’Dws (diventato poi Amsterdam FC), formazione discreta militante nell’Eredivisie, divenne famoso in patria nel 1974, quando il ct Michels lo convocò per i Mondiali in Germania. Allora era già 34enne, con appena una presenza in Nazionale: un brutto ko per 4-1 contro la Danimarca dove Jongbloed fece un errore grossolano nel finale giocando appena gli ultimi sei minuti conclusivi. I media olandesi erano perplessi riguardo alla sua convocazione, e ancor di più dopo aver dato la notizia che sarebbe stato il titolare. Estremo difensore sicuramente atipico, aveva l’abitudine di giocare senza guanti, perché lui “toccava più volte il pallone con i piedi e con la testa”, e quando un tiro era da lui giudicato imparabile non si tuffava. Precursore anche della parata-laser di Handanovic.
Dopo la disgraziata finale di quella rassegna mondiale, con la sconfitta contro la Germania Ovest padrona di casa, Jongbloed ebbe l’occasione di passare all’Ajax di Cruijff, ma diventare un professionista avrebbe significato rinunciare alla tabaccheria e alla pesca, suo grande hobby. La sua capacità di leggere il gioco e uscire dall’area di rigore fu ritenuta molto più utile dell’abilità tra i pali, che onestamente, non era particolarmente eccelsa. Smanacciate, respinte, tuffi e uscite piuttosto goffe, ma in quel sistema il suo modo di giocare era terribilmente efficace.
La domanda sorge spontanea. Perché Rinus Michels scelse proprio lui fra i pali? Oggi sentiamo dire che il portiere è il primo regista, addirittura si guarda più all’abilità con i piedi che con le mani per poter impostare la manovra dal basso, che più dal basso di così ci si fa autogol. Estremi difensori come Onana che abbiamo ammirato in Serie A con l’Inter, e Ederson, regista del City di Guardiola sono tutti discendenti di Jongbloed, che a sua volta si ispirò al collega della Grande Ungheria, Grosics.
Il numero 8 sulla sua schiena sembrava non essere neppure poi così casuale. In un’epoca in cui spesso si ci si affidava a un semplice ordine alfabetico, lui presentava due piedi da centrocampista prestati alla porta che fecero innamorare Michels e Cruijff: “Jan, hai dei piedi che sono molto meglio di tanti giocatori che conosco”, gli ripeteva spesso Johan. E se te lo dice lui, c’è da credergli.

Dopo il ritiro, fece notizia nuovamente, ma per una tragedia. Il figlio Eric, anche lui portiere in Serie D olandese, morì in campo colpito da un fulmine appena 21enne. Jongbloed ha fatto la storia del Calcio per talento, personalità e stravaganze, e anche se nessuna classifica lo ha mai citato, per noi rimarrà il portiere-tabaccaio più forte di sempre.

Buon viaggio, Jan.

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"Der Bundesliga-Skandal 1971"

Nel 1971 la Bundesliga visse lo scandalo più grave della sua storia fino ad oggi. Rischiava di essere sommerso in un pantano di tangenti e corruzione. Nelle fasi finali della stagione 1970/71 furono truccate ben 18 partite. Sono stati coinvolti oltre 60 professionisti provenienti da dieci club; i punti venivano scambiati come in una fiera per quasi un milione di marchi. Questa crisi ha temporaneamente minacciato l'esistenza del calcio professionistico tedesco.
Strani giochi, strani risultati
Si erano verificati risultati strani e nella primavera del 1971 Horst Gregorio Canellas si insospettì.
Il fruttivendolo e presidente del club Kickers Offenbach rimase stupito nel vedere che i suoi Kickers vincevano una partita dopo l'altra - senza mai uscire dal fondo della classifica. Ogni volta vincevano anche le dirette antagoniste Bielefeld, Oberhausen e Eintracht Francoforte, con risultati strani. Circolavano voci. C'era qualcosa che non andava?
I timori furono presto confermati: all'inizio di maggio 1971 squillò il telefono di Canellas. In linea c'era Manfred Manglitz, portiere del Colonia. Ha chiesto 25.000 marchi a Canellas. Se i soldi non arrivano, "lascerà passare alcune cose" nella partita contro i rivali retrocessi dell'Offenbach, il Rot-Weiß Essen. Canellas ha pagato e il Colonia ha vinto 3-2.

La frode era evidente. Secondo la sua stessa dichiarazione, il presidente dei Kickers ha informato la Federcalcio tedesca. I funzionari della DFB gli hanno chiesto di "ascoltare", come ha detto in seguito Canellas. Quindi ha agito. All'inizio di giugno, pochi giorni prima dell'ultima giornata di campionato, ha chiamato Tasso Wild e Bernd Patzke dell'Hertha BSC Berlino in presenza di un giornalista, ha registrato segretamente le conversazioni e ha offerto loro 140.000 marchi per una vittoria contro il Bielefeld, che era minacciato di retrocessione. Ma questo era poco, ribatterono Wild e Patzke. Un manager dell'Arminia Bielefeld aveva già offerto loro 220.000 marchi in contanti se l'Hertha avesse perso contro il Bielefeld. Riuscirà Canellas a tenere il passo? Poco dopo il fruttivendolo ha ricontattato Manfred Manglitz a Colonia. Quanto costerebbe una vittoria di Offenbach a Colonia? Il portiere dei “caproni” non ha esitato a lungo. Ha chiesto 100.000 marchi per sé e per cinque dei suoi compagni di squadra.

La bomba esplode davanti a un caffè e una torta
Domenica 6 giugno 1971, il giorno dopo la fine della stagione, Canellas compì 50 anni. Alla festa in giardino parteciparono molte celebrità, tra cui l'allenatore della nazionale Helmut Schön. L'atmosfera era buona, finché all'ora di pranzo Canellas non ha registrato una cassetta. Risuonarono le voci di Wild, Patzke e Manglitz. Davanti alle telecamere il sangue si è congelato nelle vene degli ospiti sbalorditi.
È così che la Bundesliga è finita nel peggiore scandalo della sua storia. È stata un'estate calda con nuove rivelazioni e voci. Per settimane i titoli dei giornali ebbero un solo argomento. Si è scoperto che nella fase finale della stagione della Bundesliga 1970/71 erano state truccate non meno di 18 partite. Quasi tutte le partite importanti per la retrocessione sono state manipolate. Quella era solo la punta dell’iceberg?
Scene come quelle dei film di spionaggio: denaro segreto veniva consegnato durante riunioni cospirative, nei retrobottega, nei parcheggi e nelle aree di sosta autostradali. Sono stati argentati punti per un totale di quasi un milione di marchi. Più di 60 giocatori sono stati coinvolti nello scandalo di corruzione, dieci dei 18 club di prima divisione sono stati coinvolti: Arminia Bielefeld, FC Schalke 04, Kickers Offenbach, 1. FC Köln, Hertha BSC Berlin, Eintracht Braunschweig, VfB Stuttgart, Rot-Weiß Oberhausen , Eintracht Francoforte, MSV Duisburg. Il Rot-Weiß Essen, ultimo in classifica, è invece rimasto fuori dalla mischia. Tuttavia gli esseni dovettero pagare il loro onorevole comportamento con la retrocessione.
“Pali in ghisa nel cemento”
La DFB ha reagito con Hans Kindermann. Il giudice del tribunale regionale di Stoccarda era presidente del comitato di controllo della DFB. Il “procuratore capo” del calcio se la cavò in fretta: appena sette settimane dopo la festa di compleanno, il 24 luglio 1971 a Francoforte furono emesse le prime sentenze. Wild e Manglitz furono squalificati a vita, Patzke per dieci anni. Manglitz dovette pagare una multa di 25.000 marchi. La licenza del Kickers Offenbach è stata revocata per due anni.
E ciò nonostante Horst Gregorio Canellas non riusciva a crederci: non gli è mai più stato permesso di ricoprire una carica all'interno dell'organizzazione della DFB. E questo nonostante abbia contribuito in modo determinante allo smascheramento dello scandalo, come ha detto lui stesso in consultazione con la DFB. Fu graziato solo cinque anni dopo. Ciò che è ancora più sorprendente dal punto di vista di oggi è che la DFB non ha cancellato i risultati di tutte le partite che si sono rivelate "vendute", ma le ha valutate come normali per le statistiche della Bundesliga.

Il lavoro di Kindermann non era ancora finito: per due anni, fino all'estate del 1973, interrogò giocatori sospetti nei fine settimana e nel tempo libero. “Dobbiamo mettere dei pali di ferro nel cemento, altrimenti tutte le dighe si romperanno”, era il motto dell’avvocato. Risultato: 53 giocatori, due allenatori e sei dirigenti sono stati puniti. Nell'aprile 1972 l'Arminia Bielefeld, il club più profondamente coinvolto nello scandalo, fu trasferito con la forza alla lega regionale.

"FC Falso giuramento": il caso Schalke 04
Lo Schalke 04 inizialmente ha avuto solo un ruolo secondario in questo brutto pezzo diffamatorio. Prima della partita casalinga contro il Bielefeld del 17 aprile 1971, i “Knappen” accettarono una valigia contenente 40.000 marchi. Per ogni giocatore dello Schalke - comprese stelle come Libuda, Rüssmann, Fischer e Fichtel - c'erano circa 2.300 punti. "Noccioline" rispetto ad altri importi di tangenti. Bielefeld ha vinto la partita 1-0. Ma seguì una conseguenza.
Se i professionisti accusati dello Schalke avessero ammesso la corruzione, probabilmente se la sarebbero cavata con una sentenza relativamente mite davanti al tribunale sportivo. Per evitare di essere banditi, protestarono ostinatamente di non avere niente a che fare con tutta la faccenda e si coprirono a vicenda. Kindermann rimase fermo. Gli otto professionisti dello Schalke sono stati infine accusati di falsa testimonianza davanti al tribunale regionale di Essen. Questo processo si trascinò per diversi anni, fino alla fine del 1975. Lo scandalo della Bundesliga divenne in seguito uno scandalo dello Schalke agli occhi del pubblico.
I giocatori dello Schalke avevano già un piede in prigione. Dovevano essere grati che i giudici di Essen il 22 dicembre 1975 li condannassero solo a multe salate. Fu solo nel febbraio 1976 che la DFB impose gli ultimi divieti ai professionisti dello Schalke, quasi cinque anni dopo la festa di compleanno di Canellas. Solo allora lo scandalo della Bundesliga fu finalmente messo a tacere.
Dopo lo scandalo: tutto sommato, il calcio tedesco è sopravvissuto bene al capitolo più nero della storia della Bundesliga. A causa dello scandalo di corruzione, il numero di telespettatori è diminuito per due anni. Il campionato toccò il suo punto più basso nella stagione 1972/73, quando complessivamente poco più di cinque milioni di telespettatori volevano vedere le partite. Ma nell'estate del 1973 Hans Kindermann concluse la sua indagine: "Abbiamo risolto quasi al 100%!" E solo un anno dopo, quando nella Repubblica Federale Tedesca si svolsero i Mondiali del 1974, quasi nessuno voleva più sentir parlare di corruzione. I tifosi sono tornati negli stadi come se nulla fosse successo.

(planet-wissen.de)

Klaus Fischer per questo scandalo si prese un anno di squalifica, qualche anno dopo fu riabilitato e convocato in nazionale con cui gioco' due Mondiali segnando ben 32 reti. Un infortunio invece gli impedì di partecipare agli Europei del 1980 vinti dalla Germania Ovest in Italia.

https://gameofgoals.it/2021/01/23/klaus ... n-giu.html

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Re: AMARCORD CALCIO ESTERO

Messaggio da Dorico »

Tra i coinvolti il più famoso è certamente Fischer, ma Patzke giocò due mondiali ed era titolare in Italia Germania 4-3, dove Manglitz era il portiere di riserva.
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Re: AMARCORD CALCIO ESTERO

Messaggio da ars72 »

Dorico ha scritto: 4 marzo 2024, 22:08 Tra i coinvolti il più famoso è certamente Fischer, ma Patzke giocò due mondiali ed era titolare in Italia Germania 4-3, dove Manglitz era il portiere di riserva.
Nonché Libuda, bandiera dello Schalke 04.

Inoltre furono coinvolti diversi giocatori protagonisti qualche anno prima dell'unico scudetto vinto nella sua storia dall'Eintracht Braunschweig.
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AMARCORD CALCIO ESTERO

Messaggio da ars72 »

I tifosi del Magdeburg che non sta vivendo un periodo positivo nella Zweite Liga hanno organizzato grandi eventi celebrativi in occasione del 50mo anniversario della vittoria della Coppa delle coppe 1973-'74 ottenuto battendo 2-0 il Milan nella finale di Rotterdam dell'8 maggio 1974.
Rimane una vittoria storica del Magdeburg perchè quella rimane l'unica ottenuta da una squadra della Germania Est nelle coppe europee.
In occasione della ricorrenza dei turni di quell'edizione della coppa sono stati organizzati eventi particolari:
Cena con piatti tipici bulgari per il quarto di finale vinto contro il Beroe Stara Zagora, serata a tema portoghese per la semifinale vinta contro lo Sporting Lisbona con interviste ai calciatori lusitani di quel periodo, evento speciale dedicato alla storia degli ultras del Milan per la finalissima.
Oltre a questo è stata organizzata una mostra sulla storia del Magdeburg e sull'edizione della coppa delle coppe vinta che sarà definitivamente celebrata l'8 maggio 2024.

https://www.fanprojekt-magdeburg.org/wp ... #more-1651
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